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Insulti sui social, attento a quello che scrivi: quali parole puoi usare e quali sono invece reato

La linea tra diritto di critica e diffamazione è sottile e la Corte Suprema di Cassazione ha spesso dovuto intervenire per chiarire i confiniIl Confine tra Diritto di Critica e Diffamazione Online (www.guidaeconomica.it)

L’uso dei social media ha rivoluzionato il modo in cui comunichiamo, ma ha anche portato alla luce questioni legali complesse.

La linea tra diritto di critica e diffamazione è sottile e la Corte Suprema di Cassazione ha spesso dovuto intervenire per chiarire i confini legali di ciò che può essere considerato reato sui social network. Il quadro giuridico attuale non prevede una lista definitiva di parole vietate, ma si basa su un’attenta valutazione del contesto e del significato oggettivo attribuito alla parola dalla società.

Non esiste un dizionario ufficiale delle espressioni proibite sui social, ma la giurisprudenza della Cassazione si concentra sul significato concreto e sull’effetto che le parole hanno sulla reputazione della persona offesa. Come evidenziato nella sentenza 36217/2024, non conta tanto l’intenzione dell’autore del commento, quanto il valore offensivo che la società attribuisce a una determinata espressione.

Ad esempio, termini come “idiota” possono non configurare reato se usati nell’ambito di una critica funzionale (Cass., sent. 15089/2020), mentre appellativi come “imbecille” sono stati dichiarati diffamatori e quindi perseguibili penalmente (Cass., sent. 15060/2011). La differenza sostanziale risiede nella funzione comunicativa dell’insulto: se esso è strumentale a esprimere un giudizio critico e non intacca direttamente la dignità personale, può rientrare nel diritto di critica garantito dall’articolo 51 del codice penale. Al contrario, un insulto gratuito e diretto che colpisce le qualità morali o intellettuali della persona può determinare l’apertura di un procedimento penale.

Linguaggio e Volgarità: Quando l’Insulto Diventa Reato

La giurisprudenza si è adattata ai cambiamenti del linguaggio quotidiano, riconoscendo che alcune espressioni volgari hanno perso parte della loro carica offensiva. Ad esempio, l’utilizzo di espressioni come “vaffanclo” o “rompiplle” non sempre è penalmente rilevante se usato per esprimere fastidio o seccatura (Cass., sent. 27996/2007; 22887/2013). Tuttavia, insulti più pesanti e diretti come “sei uno strono” o “vai a farti fotere, ladro” superano il limite di tolleranza e possono configurare reato (Cass., sent. 13252/2021).

In ambito politico o condominiale la soglia è ancora più delicata: definire un amministratore “latitante” è lecito se comprovato, mentre termini come “gentaglia”, “schifo” o “vergogna” riferiti a politici sono considerati diffamatori (Cass., sent. 3372/2011 e 1788/2024). Inoltre, espressioni fortemente ideologiche quali “nazifascista” o “neonazista” possono essere tollerate se inserite in un contesto critico-politico.

In base all’articolo 595 del Codice Penale, la diffamazione online si configura quando si offende la reputazione di una persona in sua assenza

Diffamazione e Reati Collegati: Cosa Dice la Legge(www.guidaeconomica.it)

In base all’articolo 595 del Codice Penale, la diffamazione online si configura quando si offende la reputazione di una persona in sua assenza, con comunicazione a più soggetti, come avviene sui social network. Questo reato è aggravato dalla natura pubblica e virale delle piattaforme digitali, e la pena può variare da una multa fino a un massimo di tre anni di reclusione.

L’ingiuria invece, che riguarda l’offesa rivolta direttamente alla persona in sua presenza, non è più reato ma illecito civile, e può avvenire anche in chat private. Se poi gli insulti contengono minacce esplicite, come “ti ammazzo” o “ti spacco la testa”, può configurarsi anche il reato di minaccia ex articolo 612 del codice penale.

Non è sufficiente sostenere la verità per giustificare un insulto o un’accusa diffamatoria: attribuire a qualcuno fatti come “falsità in bilancio” senza prove può portare a una condanna certa. Anche la diffusione di pettegolezzi sulla vita privata costituisce violazione della privacy e diffamazione (Cass., sent. 44940/2011).

Cosa Fare in Caso di Insulti e Diffamazione sui Social

Chi riceve insulti online può presentare una querela entro tre mesi dalla conoscenza del fatto, allegando prove come screenshot e link ai contenuti offensivi. È importante agire tempestivamente e, se possibile, tentare una risoluzione bonaria con l’autore del commento. Nel caso in cui si avvii un procedimento penale, è fondamentale farsi assistere da un avvocato penalista esperto in materia.

Chi invece ha scritto insulti deve essere consapevole che il rischio di querela è concreto, e che spesso è preferibile evitare escalation legali cercando di mantenere un linguaggio rispettoso e misurato.

Va segnalato un fenomeno crescente di società legali che, in accordo con personaggi pubblici o semi-pubblici, contattano utenti colpevoli di insulti per richiedere risarcimenti in denaro al fine di evitare procedimenti penali, un esempio di come le norme possano essere talvolta strumentalizzate.

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