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Previsioni e novità sulle pensioni nel 2026: cosa cambierà per i lavoratori

Previsioni e novità sulle pensioni nel 2026: cosa cambierà per i lavoratoriPrevisioni e novità sulle pensioni nel 2026: cosa cambierà per i lavoratori

Le pensioni nel 2026 rappresentano uno dei temi più rilevanti e delicati della prossima manovra finanziaria italiana. La bozza della Legge di Bilancio 2026, approvata il 17 ottobre, introduce alcune novità che impatteranno direttamente milioni di lavoratori e pensionati. In questo articolo analizziamo le principali misure previste, le risorse stanziate, i nuovi requisiti e le tensioni politiche e sindacali che accompagnano queste scelte.

Le principali misure sulle pensioni nella Legge di Bilancio 2026

Secondo il testo non ancora definitivo della manovra, due misure sono state confermate come certe: l’aumento di 20 euro per le pensioni minime e il blocco parziale dell’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. In particolare, il blocco riguarda un rallentamento dell’adeguamento, che nel 2027 sarà di un solo mese e nel 2028 di due mesi, anziché i tre mesi previsti dalla normativa vigente. Questa misura interesserà solo alcune categorie, in particolare i lavoratori gravosi e usuranti, che rappresentano circa il 2% dei nuovi pensionati.

Sul piano finanziario, la manovra destina complessivamente 3,6 miliardi di euro nel triennio 2026-2028 per le misure previdenziali: 500 milioni per il 2026, 1,9 miliardi per il 2027 e 1,2 miliardi per il 2028.

Nuovi requisiti per l’accesso alla pensione e abolizione di Quota 103 e Opzione Donna

Dal 2027 è previsto un incremento dei requisiti pensionistici: per la pensione di vecchiaia l’età salirà a 67 anni e un mese, mentre per la pensione anticipata saranno necessari 42 anni e 11 mesi di contributi, con un anno in meno per le donne. Nel 2028, invece, è previsto un ulteriore aumento di due mesi, portando i requisiti a 67 anni e tre mesi per la vecchiaia e 43 anni e un mese per la pensione anticipata.

La manovra prevede inoltre l’abolizione di Quota 103 e di Opzione Donna, che non saranno più prorogate per il 2026. Resta attiva solo l’Ape sociale, che consente l’uscita anticipata a 63 anni e 5 mesi per disoccupati, invalidi, caregiver e addetti a lavori gravosi. In merito all’Opzione Donna, il professor Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, ricorda che per usufruirne bisognava aver maturato i requisiti nel 2024, essendo ora non più prorogata.

Le tensioni politiche e sindacali e i dati INPS sulla spesa previdenziale

Le posizioni politiche e sindacali sulla questione pensioni sono divergenti e riflettono la complessità del tema. La Lega, ad esempio, spinge per un blocco totale dell’aumento dell’età pensionabile, senza limiti di età, mentre il Ministero dell’Economia si mostra più cauto, soprattutto riguardo all’ipotesi di fissare un paletto di 64 anni per il blocco. I sindacati sono favorevoli al blocco dei tre mesi di incremento dei requisiti, ma esprimono preoccupazione per possibili riduzioni degli assegni pensionistici se non si interviene anche sui coefficienti di trasformazione contributiva.

Intanto, l’ultimo rapporto dell’Osservatorio INPS evidenzia una crescita della spesa previdenziale complessiva, che ha raggiunto 364 miliardi di euro a fine 2024, con un incremento del 2,5% rispetto all’anno precedente. Le pensioni di vecchiaia sono aumentate del 14,5%, mentre quelle di invalidità dell’11,8%. Di contro, le uscite anticipate si sono ridotte significativamente (-9% nel 2024 e -11% stimato per il 2025). La spesa previdenziale è destinata a crescere ancora, arrivando a pesare il 15,7% del PIL nel 2030 e il 17,1% nel 2040, a causa del pensionamento dei baby boomers.

Il presidente Brambilla sottolinea inoltre che l’età media effettiva di uscita dal lavoro è salita a 64,8 anni nel 2024, segnando un aumento di sette anni rispetto al 1995. La sfida, a suo avviso, è favorire un invecchiamento attivo e sviluppare contratti di lavoro che tengano conto dell’età per garantire la sostenibilità del sistema pensionistico.

Il ruolo del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) e i consigli per i lavoratori

Un tema di dibattito riguarda l’utilizzo del TFR per favorire l’accesso anticipato alla pensione, soprattutto per chi ha carriere discontinue o contribuzione mista. La proposta del Sottosegretario Durigon prevede la possibilità di utilizzare il TFR accantonato presso l’INPS per raggiungere la soglia minima contributiva per la pensione anticipata a 64 anni. Si tratterebbe di una scelta individuale che, però, potrebbe ridurre l’importo finale dell’assegno pensionistico, a causa del calcolo con il sistema contributivo.

I sindacati hanno espresso un netto rifiuto a questa ipotesi, ritenendo che il TFR rappresenti una forma di salario differito e che il suo utilizzo in questo modo potrebbe snaturarne la funzione costituzionale.

Infine, il professor Brambilla consiglia ai lavoratori di considerare l’investimento del TFR in fondi pensione, poiché in genere offrono rendimenti superiori a quelli aziendali e una tassazione più favorevole (massimo 15% contro il 35-38% in azienda). Il vantaggio fiscale e la maggiore redditività possono rappresentare un’opportunità per incrementare la propria pensione integrativa.

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